domenica 13 maggio 2012

Gestione centralizzata dei trasporti di cose e persone


Trovo veramente sconsolante che ad oggi ancora non sia stata fatta una razionalizzazione dei trasporti, quindi mi propongo di esporre un sistema che li ottimizzi.
Questo avrebbe un notevole impatto economico e ambientale, riducendo spese, inquinamento ed eccessi di produzione di veicoli.
La cosa più semplice è l'idea alla base e la sua messa in pratica a livello di impianto infrastruttrale (basterebbero un paio di server, ed inizialmente il parco veicoli potrebbe essere ottenuto riciclando l'attuale sovrabbondanza di questi, migrando gradualmente ad una loro ottimizzazione adeguandola alle necessità); la cosa più difficile è far si che i centri di potere preposti alla gestione della questione vogliano mettere in pratica un beneficio per tutti a discapito di interessi di pochi ultramiliardari.
Per sommi capi il concetto consiste nell'implementare un algoritmo il quale processi le richieste di spostamento (di cose e persone) e le organizzi in maniera da dimensionare opportunamente i veicoli ai flussi, calcolando i percorsi in modo da evitare ingorghi.
All'atto pratico sarebbe come disporre di taxi sempre reperibili a costi di molto inferiori a quanto si spenderebbe prendendo la propria macchina, il traffico si ridurrebbe approssimativamente ad 1/10 (non di 1/10: di 9/10), e di conseguenza le spese (anzi, la centralizzazione di manutenzioni, assicurazioni e quant'altro orbita intorno alla questione, come i sistemi di alimentazione dei veicoli, avrebbero un impatto tale per cui per 1/10 del traffico si avrebbe meno di 1/10 della spesa in quanto siffatta gestione ottimizzerebbe anche le componenti di costo attuale dei singoli veicoli).
E' un'idea che ho da più di 10 anni, ma vedere che il massimo che si è messo in piedi finora è il car pooling (un'embrionale versione del progetto qui esposto) mi ha spinto a pubblicare questo post.
La forza dell'idea si esprime se ben diffusa: già se la si applicasse ad una provincia si avrebbero enormi benefici, se venisse estesa ad un ambito nazionale ancora meglio, e così via.
Ogni giorno si muovono in Italia milioni di persone, la stragrande maggioranza delle quali fanno spostamenti simili tra loro (almeno per tratti parziali), con un carico che stimerei mediamente in 1/4 del potenziale; qualcuno potrebbe obiettare che, nell'improbabile ipotesi che si riuscisse a far sempre viaggiare i veicoli a pieno carico, il traffico si ridurrebbe ad 1/4 (cioè di 3/4, che già non sarebbe male) e non ad 1/10, ma questo presupporrebbe l'ausilio dei soliti mezzi, mentre se ad esempio (usando cifre del tutto ipotetiche) ogni mattina 4000 automobili fanno brescia-milano trasportando approssimativamente 5000 persone, che riorganizzate si ridurrebbero a 1000, ciò sarebbe sostituito da 100 veicoli con portata mediamente 10 volte maggiore. Il costo verrebbe decimato ed il tempo dimezzato (ricordiamo che ci sarebbero 100 veicoli invece di 4000 in circolazione, il che già in sè diminuirebbe il traffico, inoltre il sistema conoscendo preventivamente i flussi, li disporrebbe in maniera tale che non si accavallino). Inoltre invece che 4000 autisti ve ne sarebbero 100, il che significa che 3900 persone potrebbero dedicarsi ad altro invece che guidare (dormire? leggere? lavorare al pc? chiacchierare con i compagni di viaggio rendendo il trasferimento un atto conciliante invece che alienante? ognuno potrebbe scegliere come preferisce).
Entrare nel merito dei dettagli implementativi sarebbe lungo e di interesse secondario (per una buona ottimizzazione e per una adeguata qualità del servizio occorrono svariati accorgimenti, ma la sostanza del discorso centrale rimane), quindi mi fermo qui, e se qualcuno avesse qualche perplessità sulla fattibilità e/o opportunità della cosa esponga i propri dubbi/dissensi, sono certo di poter rispondere a qualsiasi istanza in merito.

venerdì 13 gennaio 2012

Oggetica


Con quest'improbabile neologismo, vorrei indicare l'etica oggettiva.
Sembra che gli argomenti etici siano comunemente accettati come soggettivi e dunque sempre opinabili, non certi. Non sono in pieno accordo con quest'asserzione e vorrei confutare la sua generalizzazione indiscriminata.
Vanno premesse alcune considerazioni.
La metaetica analitica si propone un intento simile al mio, ma credo disattenda l'obiettivo per errori di valutazione nelle sue basi; non ho approfondito l'argomento perché già i presupposti nascondono (a me sembrano palesi, ma visto che ne deriva un'intera scuola di pensiero, per molti devono essere occulti) difetti, fondamenta di una struttura instabile, destinata a crollare: nei “Principia ethica” di Moore si afferma che il bene è atomico; premetto che non sono affatto d'accordo, e si fa inoltre un esempio di termine atomico a mio avviso insulso, cioè si prende ad esempio il colore rosso, e si sostiene che il rosso in sé è atomico in quanto dato di base che deriva dall'esperienza, e che non si può definirlo a chi non lo veda; già questo non ha senso, in quanto il rosso è perfettamente definibile (è un determinato riflesso della luce), ma se s'intendesse il rosso come effetto visivo (e chiaro che se si volesse fare un discorso analitico, le cose andrebbero esposte di conseguenza...) è definibile come immagine mentale derivante dall'impressione oculare del suddetto riflesso (ora la spiegazione neurologica non è necessaria); insomma, anche un banale esempio mi sembra estremamente instabile, figuriamoci quando si affronta un concetto come il bene, che è assai più complesso; altro che atomico, è un concetto, detto così, estremamente vago, e per quanto lo si possa circostanziare, sarebbe comunque relativo (un bene per un soggetto potrebbe non esserlo per un altro, come un bene per una società potrebbe non esserlo per un'altra o per la natura, e il discorso può procedere). In breve, dalle mie (superficiali, ma perché non ho trovato nulla che abbia valutato che ne valesse la pena di approfondire) ricerche su filosofia analitica, positivismo logico, strutturalismo e post-strutturalismo, pragmatismo, semiotica, assiologia, etc., non è uscito nulla che si riconducesse a ciò che vorrei qui esporre, se non talvolta negli intenti (il circolo di Vienna aveva questo proposito, ma i risultati si discostano dai miei).
Una premessa che ritengo doverosa, di carattere generale, per me autoevidente, ma i fatti storici mi smentiscono (insomma a me sembra ovvio, ma non è così per il pensiero passato e corrente), è che la conoscenza certa ci viene fornita dalla logica coerente. A sua volta questa premessa necessita di varie considerazioni: sappiamo che nel sistema numerico decimale 1+1=2, sempre e comunque; notare che specifico “nel sistema numerico decimale”, perché ad esempio nel sistema binario 1+1=10 (che poi vale 2 in decimale), ma volevo sottolineare l'importanza della completa correttezza formale per non incappare in errori, talvolta evidenti, ma a volte subdoli: se io avessi detto semplicemente che 1+1=10, si sarebbe ritenuto scorretto, e questo perché non era esplicito che stavo ragionando in binario; dunque alcune puntualizzazioni, apparentemente pignole, sono necessarie per sviluppare un corretto flusso logico, soprattutto in un terreno, quello dove mi muoverò, dove non sono state codificate logiche formali coerenti, almeno che mi risulti, altrimenti non credo proprio che ci troveremmo nella situazione attuale. Un'ulteriore considerazione in merito ai sistemi logici formali è sul loro valore assoluto-relativo (un ossimoro?), mi spiego meglio: salvo errori logici (o anche semiologici, i quali li ricondurrei comunque ad errori logico-formali) un teorema deve stabilirsi su assiomi atomici, e relativamente ad essi il loro valore è assoluto, e da qui la mia poco digeribile definizione di relativo assolutismo, in parole povere, tutto sarà relativo a basi predefinite, ma in relazione ad esse il loro valore sarà assoluto. Tanto per fare un'introduzione concettuale, un classico esempio di sistema logico formale è la geometria euclidea (che si basa su 5 assiomi), e nonostante i suoi limiti (indecidibilità di alcuni teoremi) ci ha fornito importanti strumenti per la corretta comprensione della realtà. Un buon sistema logico formale, perché sia applicabile ad un ampio spettro della realtà, deve basarsi su assiomi (tra loro coerenti, ovviamente) il più possibile elementari, altrimenti in sé potrebbe contenere qualcosa in contrasto con la realtà stessa; sarà mia cura infatti incentrare buona parte dell'indagine sull'individuazione di un insieme di assiomi tra loro coerenti e più “atomici” possibili; lo sviluppo dei teoremi per il momento è secondario, e mi limiterò ad abbozzarlo: il proposito del post è talmente ambizioso e vasto che non mi illudo, non dico di esaurirlo (posto che sia possibile, cosa altamente improbabile), ma, come di consueto, gettare le basi per lanciare uno sviluppo, suggerire una direzione; tra l'altro anche l'individuazione stessa degli assiomi non sarà esaustiva, e anche questa avrà come obiettivo quello di suggerire un indirizzo, un metodo, più che un'implementazione definitiva (sarò ambizioso, forse anche presuntuoso, ma non fino a questo punto).
Preciso che l'intento del discorso sarebbe quello di rendere un'utilità pratica all'etica, di suggerire un metodo sistematico di analisi che ne consenta l'applicazione negli ambiti di competenza, cioè nelle regole di comportamento sociale dettate ad oggi dalla politica, subordinate ad oggi fondamentalmente alle regole economiche (ieri lo erano rispetto alla religione e/o ai sovrani).
Detto ciò posso passare ad addentrarmi nel merito del discorso.
Per poter individuare dei postulati “sani” bisogna individuare gli elementi fondanti ai quali protendere; si potrebbe dire: il fine al quale protendere è la felicità individuale, oppure la costituzione di una società dove complessivamente vi sia un bilancio di benessere il più positivo possibile (notare che le due ipotesi sono in conflitto tra loro, mentre nella prima è centrale l'individuo, nella seconda lo è la società), o ancora, la preservazione della vita nella terra (anche questa in contrasto con le precedenti in quanto il benessere di una società, almeno nel lungo termine potrebbe avere contrasti con la preservazione biologica), e le ipotesi di base potrebbero essere svariate. Invece di enumerare le varie possibili ipotesi, passo a quella che riterrei migliore, e che si ricollega al post sul “senso della vita”, cioè, in senso astratto, l'agevolazione dell'evoluzione in strutture di materia ed energia sempre più stabili e complesse; come si evince anche dai commenti al suddetto post, il ruolo della vita è fondamentale, ed in particolare quello dell'uomo (inteso come specie, non nell'accezione sessista ovviamente); non pongo come postulato lo sviluppo umano poiché è necessario che questo sia subordinato ad un presupposto più ampio, altrimenti si incapperebbero strade che ne detterebbero un percorso in facile conflitto con il principio base che mi pongo, tanto per fare un esempio, se un domani (molto remoto), un'altra forma biologica si rivelasse più adeguata, l'uomo dovrebbe farsi da parte, e questo non avverrebbe se lo si ponesse al centro del discorso. Vediamo come questo postulato non escluda lo sviluppo individuale e sociale (oltre che evidentemente quello biologico in genere), ma crei solo una gerarchia di rapporti tra questi, e ne crei rapporti di forza variabili a seconda dello stato del sistema in esame: nelle forme biologiche meno evolute è preponderante lo sviluppo individuale (quasi totalitario) e via via la componente sociale prende il sopravvento; premetto che a dispetto delle apparenze, siamo in una fase dove lo sviluppo individuale umano è ancora molto importante, perché siamo ben lontani dall'aver raggiunto il nostro sviluppo ideale; purtuttavia senza una seria considerazione dell'importanza sociale si mette in pericolo un sano sviluppo complessivo: l'individualismo sfrenato porta a danni sul bilancio globale (benefici all'individuo che danneggiano l'intero sistema); essendo l'individuo parte del sistema, un suo beneficio dev'essere rapportato agli effetti sistemici, in prospettiva; si può fare un esempio estremo e lampante: poniamo che mr. X sia il più ganzo del globo (e il più egoista, il che è una contraddizione, ma prendiamolo a titolo di esempio), se ne avesse l'occasione, eliminare tutti gli altri per accaparrarsi tutte le risorse potrebbe portargli forse qualche beneficio individuale, ma il servizio reso allo sviluppo sarebbe pessimo; sono partito da un esempio estremamente banale tanto per evidenziare una dinamica, passiamo ora all'estremo opposto, rimanendo volutamente sempre nel campo dell'assurdo; portiamo alle estreme conseguenze la primazia di una società paritaria sull'individuo, un totale asservimento dell'individuo a questo modello di società, contestualizzato all'epoca attuale, è facile constatare come freni lo sviluppo individuale (i meccanismi della selezione darwiniana sarebbero repressi), e non sarebbe funzionale ad uno sviluppo in prospettiva della società stessa. Per certi versi il primo esempio assomiglia ad un liberalismo capitalistico sfrenato, il secondo ad un comunismo totalitario. Questi modelli non sono assurdi in sé, ma se contestualizzati ad esempio all'uomo odierno; infatti l'individualismo sfrenato è proprio dello stadio iniziale dello sviluppo di una specie, in quanto è importante che emergano i soggetti che si rivelano più adeguati alla sopravvivenza (e la specie non ha sviluppato mezzi perché si avveri l'assurda situazione ipotizzata); il secondo modello penso sia attuabile in un ipotetico futuro dove l'uomo abbia compiuto il suo percorso evolutivo, abbia in pratica raggiunto i limiti intrinsechi alla propria natura, e sia dunque pronto alla costituzione di un organismo che li contenga. Traendo una prima conclusione, considerando come punto di partenza l'uomo (errore ricorrente e difficile da sradicare a quanto pare) si arriverà in ogni caso a teorie inadeguate; partendo invece da basi più “atomiche” si può tener conto dello sviluppo umano, che è variabile nel tempo e richiede dunque assetti variabili a seconda dello stadio di sviluppo; a costo di ripetermi, mi ripeto, mi ripeto: credo che in partenza sia opportuna una primazia dell'individuo, e che si instauri un progressivo sopravvento della società sull'individuo. Noi ci troviamo in una fase intermedia: dobbiamo perfezionare la specie, ma sarebbe inopportuno non dare un adeguato peso al suo ruolo sociale.
Il passaggio dal postulato di base all'applicazione in casi reali è molto articolato e complesso, e richiede un grande lavoro analitico, rigoroso, per non arrivare per esempio ad una semplicistica eugenetica, o in genere a rigidi meccanismi sociali ai quali non corrisponde un'altrettanto rigorosa indagine formale. Prima che sia applicabile alla realtà suddetta analisi abbisogna di un ingente sviluppo che colmi la totale carenza odierna, che ci lascia in balia di meccanismi approssimativi e selvaggi. Credo che le migliori menti di cui disponiamo si dovrebbero impegnare in tal senso, in quanto ad oggi sono impegnate in uno sviluppo di elementi troppo avanzati per la società stessa: stiamo mettendo in mano ad un bambino strumenti da adulti, e parlo dello sviluppo scientifico e tecnologico, che viene impiegato dai nostri barbari governanti in campo anzitutto militare. Lo sviluppo della tecnica deve essere commisurato, proporzionato, allo sviluppo sociale, perché se da un lato agevola alcune funzioni di utilità comune, dall'altro rischia di creare conoscenze inadeguate alla responsabilità, alla coscienza, con la quale verrebbero impiegate; le avanguardie intellettuali penso che dovrebbero curare quest'aspetto, in cui abbiamo un ritardo che sta diventando inaccettabile. E se poi Sparta raderà al suolo Atene, sappiate che sarà una vittoria momentanea, perché la storia insegna che sarà Atene a perdurare nel tempo (in pratica la cultura sopravviverà alla forza militare) anche se è chiaro che questa nefasta eventualità va tenuta sotto controllo onde prevenire almeno le più aberranti conseguenze.

martedì 10 gennaio 2012

Contromisure per una corretta tutela della politica


Premessa
 
Il sistema democratico vigente fa si che siamo governati da una "combriccola" di persone in grado di manipolare la massa di mediocri (almeno dal punto di vista della coscienza politica) che rappresenta la maggioranza della popolazione: essendo la stragrande maggioranza delle persone incapace di concepire un buon sistema sociale (i fatti lo provano, ma a chi avesse qualcosa di sensato per smentire quest'affermazione si faccia avanti, i commenti ci sono anche per questo), ed essendo questi a decidere chi governi, il gruppo politico vincente non è chi propone un sistema migliore ma chi meglio convince (leggasi illude) tale massa di rendergli la vita migliore; chi non esclude la menzogna, chi usa le armi della persuasione anche ricorrendo a bassi stratagemmi per abbindolare le masse, ha probabilità maggiori di spuntarla; chi invece ha articolate argomentazioni per sostenere un modello non può che annoiare, o non essere compreso, dalla massa che non ha o il tempo o la capacità di rendersi conto della validità o meno di una seria teoria sociale; considerare la massa cosciente dei problemi di una struttura sociale e delle soluzioni ad essi è un'ipocrisia da sorpassare; la massa in rapporto alla politica è come un bambino in rapporto alla complessa realtà delle cose: pensare di dargli la "libertà" di autodeterminarsi è per lei autolesionista.
Attualmente dunque la gerarchia sociale vede ai vertici una selezione di "furbetti" con l'unica qualità di saper illudere la maggioranza della gente dell'opportunità di far gestire a loro i propri interessi; la massa viene sfruttata da questi, ma essendo per lo più ignara di quanto le cose potrebbero andare meglio, non ha neanche coscienza del problema, mentre alle persone più valide e coscienti vengono preclusi i vertici per i motivi sopra esposti, e faticano a condurre una vita da sfruttati, hanno coscienza delle ingiustizie che li circondano, e dunque se la passano piuttosto male.


Contromisure

Con la "democrazia ponderata" ho avanzato una proposta che risolverebbe questo grave limite, e in più sarebbe fonte di stimolo generale per l'accrescimento della coscienza sociale; i danni che stiamo facendo sono intollerabili, stiamo addirittura retrocedendo in importanti ambiti della vita sociale, e non mi dilungherò qui nell'esporli perché questo esula dai propositi di questo post, e poi si è già detto tanto in merito, anche se ci sono tante voci contrapposte la maggioranza delle quali incoerenti con sè stesse, ma il livello dei discorsi è infimo a tal punto da lasciar spazio anche alle più improbabili posizioni. La maggior parte delle questioni si riducono a slogan ad effetto, ma scavando in questi si troverebbero incompatibilità logiche imbarazzanti, e, posto che la ragione logica sia il miglior fodamento di cui disponiamo (questo lo darei come dato di base, se no possiamo anche chiudere tutti i discorsi e tornare nella giungla in cui siamo ingarbugliati), pretenderei che le dichiarazioni pubbliche di chi è preposto al ruolo governativo venissero messe sotto osservazione da organi concepiti a tal fine, e laddove si verificassero suddetti contrasti formali, qualora il soggetto non riuscisse ad argomentare la validità dell'affermazione enunciata, dovrebbe rettificare pubblicamente scusandosi per lo strafalcione; basterebbe quest'elementare accorgimento per evitare tutta una serie di tremende assertazioni che inquinano il dibattito; una sana dialettica dovrebbe essere centrale in qualsivoglia forma di governo con la pretesa di curare il bene sociale (cioè quanto implicitamente dichiarato dalle attuali forme di governo: Gengis Khan non aveva di queste pretese, dunque era se non altro molto più coerente dei personaggi che ingombrano la scena pubblica odierna). Qualcuno potrebbe opporre che tale organo di controllo sarebbe pericoloso, ma non parlo di soggetti con l'autorità di pronunciarsi sulle questioni, di avanzare proponimenti di sorta, ma semplicepente di controllo, ovviamente costituita da personale qualificato per valutazioni logiche formali; ne nascerebbe un polverone, ma il polverone cè di suo, e viene occulatato sotto il tappeto (sotto i veli dell'arte oratoria propri dei politicanti dominanti), e dunque non verrebbe generato dall'organo di vigilanza proposto, ma solo messo in luce.
E' chiaro che ciò lede gli interessi dell'establishment, e non verrà mai varato spontaneamente da esso un suo nemico mortale, è il popolo che dovrebbe pretenderlo, consapevole in partenza del tentativo di sabotaggio che si avrebbe anche nel caso che l'establishment stesso fosse chiamato a costituirlo, ma se non si comincia a cercare di risolvere un problema, non si arriverà mai alla sua soluzione, è ovvio, ma è meglio esplicitare anche l'ovvio perché troppe ovvietà vengono disattese fischiettando allegramente (distraendo l'attenzione generale) o con pretesti poco seri (ad esser molto gentili nel definirli). Per selezione naturale i vari cialtroni che infestano le sedi governative verrebbero spazzati via dalla logica, che non permette facili raggiri come consente invece il corrente clima politico. Al loro posto via via apparirebbero se non altro persone coerenti, e direi, eufemisticamente, che non è poco. Un'altra banale obiezione potrebbe essere quella di dire che suddetto organo vigilante potrebbe portare in seno orientamenti che influenzerebbero la scena (distorcendo a proprio piacimento il percorso politico), ma non facendo parte delle proprie mansioni ciò le sarebbe precluso, e questo è attuabile per diversi motivi: un primo livello sarebbe quello di consentirgli richiami solo su contraddizioni in dichiarazioni dalla stessa parte politica (dallo stesso soggetto sarebbe troppo facilmente aggirabile da un'opportuna organizzazione di partito), e già così una sostanziosa parte delle attuali dichiarazioni verrebbe stroncata; non sto a riportare esempi perché sono tanti e non vorrei preferirne uno ad un altro scendendo tra l'altro nel particolare, e questo mi farebbe inciampare nella trappola dell'orientamento politico predeterminato, mentre vorrei fare un discorso trasversale, di respiro il più ampio possibile; inoltre non vorrei offendere l'intelligenza del lettore, certamente in grado di cogliere da sè un nutrito numero di esempi.
Questa sarebbe la versione "debole" dell'organo, poiché un'oculata gestione del partito, accompagnata da una pretestuosa evasione dai dibattiti darebbe ancora spazio a scorrettezze.
Colgo l'occasione per aprire una parentesi: la disertazione dal dibattito non dovrebbe essere consentita, sempre che si crei almeno nelle reti di stato un opportuno ambiente neutro (oggi inesistente), ma sarebbe di talmente semplice realizzazione che credo di esaurirne l'esposizione all'interno di questa "parentesi" del discorso, dunque mi concedo questa digressione: i presentatori sarebbero del tutto superflui, ma i tempi verrebbero rigidamente determinati di modo da garantire l'esposizione paritaria del punto di vista su diversi argomenti, i quali possono diversificarsi tra preconfezionati, sviluppati nell'ambito del dibattito, e proposti dai soggetti coinvolti; la miscelazione di questi, se anche un solo soggetto non fosse in accordo con gli altri per una diversa redistribuzione, si fisserebbe in proporzioni fisse (ad esempio metà del tempo si dedica agli argomenti predeterminati, che sarebbero incentrati su questioni attuali, un quarto su domande aperte nel corso della discussione dalle parti, il restante quarto su spunti aperti dalle parti anche se non direttamente in relazione con i temi predisposti; ovviamente questa è solo un'ipotesi, ma sarebbe ancora meglio dedicare intere trasmissioni a ciascuna di queste parti); il discorso si svilupperebbe secondo questo schema: ognuno ha diversi gettoni da tot minuti e ha il diritto al proprio turno (turno spontaneamente cedibile) di sfruttarli sino in fondo (e oltre solo se consentito da tutti gli altri, scalando il tempo dal gettone successivo); se invece si volesse cedere la parola a chi interessato, i minuti non sfruttati potrebbero essere recuperati al turno successivo. Sfido chiunque a portare un'obiezione di sorta (naturalmente con fondamento) a questa forma di dibattito pubblico, obbligatorio per chi si volesse proporre alla guida politica.
Una versione più forte dell'organo in oggetto necessiterebbe la depositazione degli scopi fondanti del partito ad ogni legislatura (modificabili in corso solo se non al governo); per quanto vaghi dovrebbero esporre i propri presupposti e si eviterebbero contraddizioni in corso d'opera, oltre ad obbligare i partiti a dichiarare chiaramente ed incontrovertibilmente i propri intenti: per fare qualche esempio, semplificando il discorso, ci sarebbe chi direbbe "ci proponiamo anzitutto di tutelare lo sviluppo economico della nazione", chi "la nostra priorità è di formare le nuove generazioni con pari opportunità e di premiare poi il merito individuale", piuttosto che "ristabilire la legalità", o ancora "vogliamo stabilire il primato della razza X sulla nazione" (sembra ridicolo ma questi elementi ci sono e o si smaschererebbero oppure dovrebbero rinunciare in partenza ai loro infelici propositi), ecc., ecc. Quando un partito facesse dichiarazioni (o applicasse provvedimenti) in contrasto con quanto dichiarato verrebbe costretto a rettifiche.
Potrebbe apparire utopico, ma lo ritengo più che fattibile: da farsi e basta; più di 2000 anni fa a Sparta gli efori assolvevano ad un compito simile, ma erano in numero esiguo e estratti a sorte, dunque i limiti erano parecchi (gente del popolo facile alla corruzione, e inoltre non erano certo concepiti come critici sulla coerenza logica delle dichiarazioni) e altre differenze, era solo per dire che non è un vaniloquio del tutto ipotetico e irrealizzabile, ma qualcosa di attuabilissimo.
Chiaramente, al pari di tutti gli altri post qui pubblicati, affronto argomenti che meriterebbero più spazio, ma mi limito per il moemento ad abbozzare i tratti generali del discorso, e mi rendo disponibile a scendere in dettaglio in qualsiasi punto o ad affrontare obiezioni, suggerimenti o quant'altro.

domenica 8 gennaio 2012

scarabOcchi

Grazie a potenti mezzi informatici (MS Paint) posso offrirvi questi capolavovi dei quali sentivate certo la mancanza

lunedì 2 gennaio 2012

fonda-mentale

scusate ma l'ho scritta come va letta

Nefasti auspici adombrano il futuro prossimo dell'umana condizione al momento concentrata in una cieca gara ad un potere individuale insensibile ai superiori disegni ai quali dovrebbe esser subordinato un nostro cosciente agire che oltre alla sua stessa condanna travolge senza il dovuto riguardo il meraviglioso e immane lavoro dell'entità globale di cui siamo solo uno degli innumerevoli tentativi e perpetrato in tempi a noi difficilmente concepibili con meticolosa pazienza e poi sgretolato in un periodo al suo cospetto irrisorio il tutto in contemplazione di un miraggio proiettato su un'effimero orizzonte labile quanto la nostra stessa transitoria esistenza che altro non può risultare se non in un mero errore da spazzare a favore di una nuova coscienza non più autoreferenziale ma che abbracci l'intera realtà in cui sembra che ignoriamo di essere indistricabilmente immersi in un connubio di armonia universale per protrarre la propria evoluzione in un contesto allargato alla totalità nel suo insieme e nell'umiltà e al contempo nell'orgoglio della consapevolezza di chi guarda oltre il proprio avvenire a favore della prospettiva di chi vuol esser padre di un radioso futuro piuttosto che aborto di un passato da rimuovere buono solo come monito che insegni ai posteri quali che siano cosa non vada ripetuto qualora si voglia essere partecipi costruttivi alla ventura realtà piuttosto che interpretare l'infausto ruolo del sabotatore utile tutt'al più a rafforzare gli anticorpi di quanto di buono finora espresso e non esser ripudiati antagonisti da additare come un fallimento evolutivo che impersonifica un attore fatuo come delle foglie caduche giunte ormai al loro inesorabile autunno e relegati dunque in un ramo sterile che non conoscerà i germogli dell'era che soppianterà infine il nostro fallimento e concludo con la definitiva affermazione che quanto dico non è nell'illusione di una immediata redenzione generalizzata possibile solo dopo che questa triste parabola tocchi il suo pedice ma al sol fine di lasciar senza fiato lo sventurato che abbia l'ardire di imbattersi in quest'estenuante frase senza interpunzioni interprete dell'imperturbabile inottemperanza interposta all'interminabile intertempo intrapreso dall'intrepido e intraprendente e intropeddauanfrighistisquartaristimancaiciarruistiaterrappoddarasumurucancarara non so se mi spiego

mercoledì 28 dicembre 2011

IL SENSO DELLA VITA (E DELLA MORTE)

Risposte alle massime domande insolute

 

Le attuali ingannevoli risposte: le religioni

Da millenni l'umanità si interroga sui perché connessi alla nostra esistenza, e sul termine della stessa, ovvero sulla morte. Le risposte a questi quesiti sono state finora fornite dalle religioni, una varietà di sistemi ciascuno con la pretesa della propria verità immutabile, tra di loro contraddittorie ma con punti fondamentali in comune: tutte propongono (anche se vorrebbero imporre) una condotta esistenziale volta al compiacimento di dettami voluti da un’entità superiore (un Dio o più) verso la quale anzitutto bisognerebbe avere una fede aprioristica: questo è necessario poiché le risposte che le religioni si propongono di dare in realtà sono errate, non dimostrabili, e dunque il credente deve prenderle per buone a scatola chiusa; addirittura il tentativo di volerle comprendere a fondo, di metterle in discussione, è spesso bollato come sacrilego poiché si metterebbe in discussione il divino dogma; questo implica un freno alla reale comprensione della realtà rappresentando un grave limite alla nostra consapevolezza ed è in definitiva in contrasto con il vero senso della nostra esistenza, vedremo poi il perché (non si vuole qui far intendere che il fine ultimo della vita sia l’acquisizione della consapevolezza, l’espansione della coscienza, anche se queste comunque rappresentano un indispensabile mezzo per protendere al fine ultimo); un altro importante punto in comune tra le religioni è quello di imporre un modello di comportamento sociale (dell’individuo nei confronti degli altri) che si propone, se pur goffamente, di costituire una linea di condotta che permetta una buona convivenza e quindi una piacevole esistenza complessiva; questa è stata la funzione delle religioni fino ad oggi, ovvero non essendoci di fatto risposte ai nostri attuali massimi interrogativi, dalle cui risposte appunto derivano alcuni fondamentali comportamenti umani che regolano la vita sociale, si sono “abbozzate” delle risposte derivanti da alcune intuizioni, o talvolta da vere e proprie prese di coscienza, dalle quali derivano leggi che rappresentano infine un’approssimazione, e anche una semplificazione che mascheri talune complessità altrimenti difficilmente inculcabili nelle masse, di ciò che si era concepito come modello comportamentale.
Un errore comune alle religioni è poi quello di avere un orientamento rispetto all’uomo piuttosto autoreferenziale, omocentrico, mentre i quesiti che si propone di risolvere implicano la comprensione del funzionamento dell’universo nel suo insieme; le religioni invece invertono l’effettivo rapporto tra l’uomo e l’universo, pensando che l’universo sia in funzione dell’uomo e non viceversa; parlando della religione cattolica, a questo proposito avevano posto l’uomo, oltre che “spiritualmente”, anche fisicamente al centro di esso, e quando l’avanguardia dell’umanità ha dimostrato che non era affatto vero, dapprima han messo al rogo chi non abiurava (Giordano Bruno) a tale infrazione dei dogmi costituiti, poi, quando non si poteva più negare la verità, con una relativa disinvoltura si è adeguata alla realtà delle cose. Un altro elemento di questo omocentrismo è l’attribuzione all’uomo (e solo ad esso) di un’anima (alle donne è stata concessa da appena mezzo millennio), dunque l’uomo sarebbe l’unica creatura verso la quale tutto ruota (a questo punto solo spiritualmente). Da quanto argomenterò sarà chiaro che tutto ciò ci allontana dai propositi di cui si vorrebbe far portavoce la religione.

Incapsulamento ricorsivo

Enunciato:
Lo scopo dell’universo (uomo compreso) è quello di organizzare materia ed energia in forme di equilibrio più complesse che incapsulino ricorsivamente forme più elementari.
Dimostrazione:
L’umanità è una specie biologica presente da un tempo relativamente breve nell’universo; anche la vita stessa (almeno sulla terra) è piuttosto recente, se comparata all’età dell’universo; dunque, lungi dall’incappare nell’errore proprio delle religioni che l’uomo sia l’entità alla quale guardare per comprendere le domande che mi propongo di rispondere, e consapevole che anche la vita stessa non può rispondersi da sé alle questioni qui poste in quanto sarebbe un teorema indecidibile all’interno del sistema formale “vita” (tantomeno “uomo”), è necessario volgere lo sguardo verso orizzonti più ampi; al contempo non è necessario conoscere tutto l’universo per comprenderne il funzionamento, come non è necessario, ad esempio, eseguire tutte le (infinite) somme tra numeri per comprendere l’addizione; guardando le cose da questo punto di vista si nota che dal microscopico al macroscopico tutto risponde alla medesima legge universale: materia ed energia si organizzano in configurazioni equilibrate, che fungano a loro volta da “mattoni” per un’organizzazione di ordine superiore: partendo per semplicità dalle particelle subatomiche (si potrebbe partire analogamente da elementi ancora più microscopici), formatisi poco dopo il big bang, questi si sono organizzati in atomi, i quali a loro volta formarono le molecole e, per farla breve, fino alla costituzione di pianeti e stelle, che formano galassie etc. Si nota che l’equilibrio energetico, cioè l’organizzazione per così dire  strutturale tra materia ed energia (due forme della stessa entità: la materia è infine energia “organizzata”) nei livelli superiori (più macroscopici) diviene via via più caotica ed instabile, prova del fatto che semplicemente non ha ancora trovato una forma di aggregazione più evoluta: sappiamo quanta energia sia necessaria a scindere il nucleo di un atomo, e quanta energia sia contenuta in esso in rapporto alla propria massa, sappiamo che è necessaria una certa energia per scomporre una molecola, così come è chiaro che la “destrutturazione” ad esempio di un pianeta, in rapporto alla sua massa, è ridicola; questo significa che l’entità pianeta è una forma di organizzazione di massa ed energia poco stabile, e che quindi è transitoria, poiché verrà necessariamente rimpiazzata da una struttura più evoluta: stelle e a loro volta buchi neri; perché un pianeta divenga stella è necessaria una determinata massa critica che permetta l’innescarsi di meccanismi che ingenerino una struttura più stabile (una stella può distruggere un pianeta e non viceversa), ma la stella stessa ha forti elementi di instabilità, e perché divenga più stabile deve raggiungere a sua volta una nuova massa critica che le permetta l’implosione in buco nero, entità altamente organizzata, se pur non del tutto stabile. Guardando ad esempio il sistema solare si rileva una struttura con certe fondamentali analogie ad un atomo: il nucleo sarebbe il sole, ed attorno roteano secondo orbite dettate dall’energia della stella in questione (in questo caso il sole) i pianeti, che sono di dimensioni assai inferiori al nucleo e che possono essere potenzialmente sottratti da altri sistemi (analogamente agli elettroni in rapporto al nucleo); il sistema solare ruota a sua volta intorno ad un buco nero che forma la galassia, e anche qui le analogie restano sostanzialmente immutate: un nucleo energeticamente superiore attorno al quale si muovono sistemi da esso attratti: una matrioska ricorsiva; di fatto il livello macroscopicamente maggiore attualmente noto è l’universo, che rappresenta lo schema di maggiore entità: contiene le galassie, che contengono i sistemi “stellari”, che a loro volta contengono molecole, contenenti atomi, costituiti da particelle subatomiche, etc.
La mia analisi si è ridotta al passaggio da particelle subatomiche all’universo, pur essendo ben consapevole che questi non rappresentano affatto i limiti né inferiore né superiore della realtà in cui siamo immersi: microscopicamente sono note da tempo particelle elementari, mentre macroscopicamente esporrò in un capitolo dedicato (“Poliversi”) gli elementi che costituiscono un limite superiore all’universo, che comporterebbe dissertazioni sul tempo che esulano dai propositi del capitolo; per quanto necessario all’esplicazione delle domande principali che intendo rispondere questo range è sufficiente.
Nella panoramica della “matrioska” esposta, l’uomo, e la vita, non sembrerebbero avere ruolo; invece rappresentano una forma di organizzazione di materia ed energia altamente elevata, se pur in forme ancora primitive, cioè poco evolute; vedremo inoltre come rispondono strutturalmente alle analogie fin qui rispettate. Senza ripercorrere i passi evolutivi biologici, è opportuno anche in questo caso tenere in considerazione come le forme più elementari costituiscano elementi (in questo caso organismi) più complessi; soffermandomi sulla struttura umana, voglio evidenziare come questa sia costituita da forme organiche più elementari (ad esempio, per un globulo rosso il corpo umano potrebbe essere inteso come il suo universo).
Insomma, venendo al dunque, il nostro scopo non è altro che l’evoluzione, evoluzione in forme di materia ed energia sempre più complesse, il linea con quanto avviene ovunque, ed il passo successivo a cui protendere, parallelamente all’evoluzione individuale, credo sia quello della costituzione di un organismo costituito dall’aggregazione degli individui e della natura, cioè di una sorta di società evoluta in cui il singolo sia votato all’evoluzione della società, come ad esempio i globuli rossi, bianchi, i linfociti, etc., costituiscono l’organismo umano.
La morte è necessaria altrimenti vi sarebbe un’evoluzione inefficiente, limitata: difatti rigenerandosi nuovi individui generalmente si procede per selezione di organismi più evoluti; saremo “immortali” (come è “immortale” un atomo) quando avremo raggiunto il nostro massimo stadio evolutivo: mattoni perfetti pronti a costituire le solide basi per un organismo che ci contenga. Siamo dunque esseri estremamente effimeri, transitori, e l’illusione prodotta dalla nostra mente di possedere un’anima eterna è frutto del nostro stato evolutivo relativamente limitato.

Poliversi

Conio questo nome, dall’etimologia inesatta, nell’intenzione di richiamare il concetto senza però fare confusione con i multiversi citati ad esempio nella “Freccia del tempo”, cioè il plurale non è inteso nei confronti della direzionalità del tempo, bensì della pluralità degli universi; etimologicamente sarebbe più corretto poliuniversi, oppure multiuniversi, ma sembrando un impronunciabile ossimoro ho preferito questa parola forse più digeribile. E’ un nome del tutto provvisorio, una sorta di catacresi di certo migliorabile.
Premesso ciò, passiamo al concetto, che è la cosa veramente importante: sappiamo che il tempo è relativo, cioè in funzione della massa subisce delle distorsioni; quanto voglio affermare è che ad una certa massa critica il tempo raggiunge una sorta di asintoto oltre il quale il tempo, se vogliamo, implode in un’altra dimensione spaziotemporale: secondo questa mia teoria, l’universo stesso sarebbe stato generato da un’implosione spaziotemporale avvenuta in un altro universo (in cui, se vogliamo, il nostro è contenuto, come è contenuto un numero nel campo complesso rispetto al piano reale); all’interno del nostro universo non va escluso che avvengano (non posso affermarlo con certezza poiché non so se venga raggiunta la massa critica che scateni l’implosione), probabilmente già nei buchi neri (o al massimo da un buco nero che raggiunga la massa critica necessaria), alcune generazioni di “subuniversi” (o subversi se vogliamo mantenere una dicitura coerente al capitolo) all’interno del quale in un tempo limitato rispetto al nostro “livello universale” si sviluppi un subverso a sé stante, con coordinate temporali proprie e la cui “vita” potrebbe “consumarsi” in un tempo che sarebbe da noi percepito come assai limitato, forse istantaneo, mentre al suo interno si sarebbero potute generare, ad esempio, forme organiche anche ben più evolute della nostra. Ricollegandomi alla “matrioska”, ovvero all’incapsulamento ricorsivo, che a questo punto definirei come “incapsulamento dimensionale ricorsivo”, questo rappresenterebbe il livello superiore all’universo: universo contenente altri universi e contenuto da altri ancora.

martedì 4 gennaio 2011

Estensione degli ambiti di applicazione della circonvenzione di incapace

Per tale estensione sarebbe forse opportuno parlare semplicemente di circonvenzione per non ledere l'autostima delle vittime. Reputo che l'"incapacità", oggi intesa come circoscritta a soggetti con limitate capacità cognitive, dovrebbe essere relativizzata, ovvero considerata in funzione al contesto nel quale si applica l'opera di persuasione: in breve, penso che, ad esempio, le cognizioni di un uomo non addetto ai lavori in materia di dentifrici siano tali da rendelo facilmente preda di un pubblicitario che gli voglia vendere un prodotto di pessima qualità, in quanto si può senza difficoltà affidare alla non colpevole ignoranza del potenziale cliente riguardo all'effetiva qualità del prodotto; in un mondo che offre una sconfinata gamma di prodotti il cui valore qualitativo è effettivamente misurabile solo da un esperto, il consumatore è in balìa del mercato, non certo di per sè sensibile a mostrare i lati scadenti di ciò che offre, e non gli vengono forniti strumenti per difendersi in tal senso, a parte debolissime autority per altro spesso corrotte; sarebbe opportuno dunque stabilire più rigidi meccanismi di controllo sulle forme di persuasione adottate da pubblicitari e commercianti in genere, e soprattutto istituire dei cataloghi facilmente accessibili redatti da gruppi di esperti super partes che ne documentino gli standard qualitativi.

sabato 1 gennaio 2011

Demeritocrazia

Con questo termine (demeritocrazia) vorrei rettificare la definizione conferita al sistema attuale (ovvero al capitalismo vigente); viene comunemente definito meritocratico in quanto non appiana le differenze ma premia alcuni a discapito di altri, e questo è palese, e concordo con il fatto che valorizzare le differenze sia una molla necessaria ad un sano sviluppo; il problema è il metodo con il quale vengono stabiliti i "premi": a mio avviso non è sufficiente parlare di meritocrazia laddove vi sia una differenziazione, ma sarebbe opportuno considerare quali qualità vengono premiate, e se queste corrispondono a qualcosa volto ad un migliore sviluppo della condizione umana; ritengo che il capitalismo (almeno nella forma attuale) non risponda a questa prerogativa sotto diversi aspetti fondamentali in quanto è per sua natura individualista e questo è in conflitto con il "sano sviluppo" volto al "miglioramento della condizione umana" sopra citati; i fatti lo dimostrano: la selezione porta sempre più in alto individui senza scrupoli ai quali poco o nulla interessa uno sviluppo generale, e i più validi (almeno secondo i parametri che io intendo validi al fine di un "sano sviluppo") arrancano perché faticano ad adeguarsi a questi barbari meccanismi di selezione. Anzitutto definirei il fine di un sistema veramente meritocratico, per poi argomentare come il sistema vigente non risponda a quest'esigenza. La natura impone in principio un meccanismo di selezione "individualista", cioè fa si che sopravviva e si riproduca l'"individuo" più adeguato alla sopravvivenza; ad un certo grado di evoluzione dovrebbe subentrare però una rivalutazione dell'"individuo" in un ambito più ampio: nel nostro caso parliamo di una società di individui, e i tempi per quanto ci riguarda dovrebbero essere maturi per considerarci in questa fase; posto che lo sviluppo dei singoli individui non è uniforme, è opportuno che permanga un meccanismo interno alla società di selezione per mantenere un progresso evolutivo dell'individuo stesso, ma subordinato allo sviluppo della società; va dunque presa coscienza del fatto che la forma più in alta di "individuo" che dovremmo tendere ad esprimere è una collettività di individui vista anch'essa come un organismo, e la tutela di un sano sviluppo di quest'ultimo dovrebbe essere la prerogativa principale dei nostri intenti; laddove un meccanismo interno ad una società premia un singolo componente a discapito dello sviluppo generale della società stessa, qui vi è un meccanismo malato, e questo è il caso della nostra società; difatti nella concorrenza spietata che domina il nostro sistema, ad esempio danneggiare gli avversari ha lo stesso risultato che migliorare sè stessi, e questo rende un pessimo servizio alla collettività; inoltre una così cieca valorizzazione dell'individuo fa si che coloro i quali sono disposti a calpestare gli altri pur di emergere scàlino i gradini della società più facilmente di quanto non sia possibile a chi ha rispetto degli altri, e questo è gravissimo poiché pone ai vertici individui senza scrupoli e con intenti estranei, e contrari, allo sviluppo generale, che dunque si sforzano, dalla posizione di dominio ottenuta, di mantenere vivi i meccanismi che li hanno portati vertici e che li fanno rimanere, alimentando un circolo vizioso dannoso per la società. Già prendere atto che siamo in un regime di demeritocrazia (non assoluta ma presente in importanti ambiti del sistema) sarebbe un passo avanti, poiché non si può curare un male che non si sa di avere. In quanto alla sua cura, non mi addentrerò qui nelle possibili soluzioni che proporrei perché richiedono la trattazione di altre introduzioni (a seconda di un approccio radicale o progressista) ampie e che temo scoraggerebbero la lettura del presente post per la dimensione che questo assumerebbe.

sabato 27 novembre 2010

Telerincoglioniti: analisi di un medio generico e ritratto di un medioman e di una mediogirl

Da sempre la massa si è caratterizzata per l'assenza di idee proprie e per aderire come pecore al modello imposto dal potere dominante nel contesto in cui cresce; evidentemente aspettarsi uno sviluppo autonomo delle coscienze della maggior parte delle persone è poco realistico; ciononostante cercherò di esaminare i nostri "medi generici" cercando di metterli a nudo per spronarli infine ad una rivalutazione dei propri valori, o per lo meno ad una sensibilizzazione dell'autocoscienza.
 Oggi l'educazione è sempre più demandata alla televisione, e questa serve diligentemente il consumismo dominante; dunque i nostri "medi generici" sono fortemente caratterizzati da un sistema di "valori" fortemente materiali, con un pizzico di retorica cattolica retaggio di un passato che ci portiamo dietro ormai da millenni; dico retorica poiché dei valori cristiani del cattolicesimo rimane più che altro la retorica di facciata, anche se con qualche residuo sostanziale (tra i quali certi aspetti tra i più retrogradi). Procedo dunque con l'analisi dei tratti comuni del "medio generico" per addentrarmi poi negli identikit del "medioman" e della "mediogirl" per sottolineare le peculiarietà che distinguono i tratti che assecondano la natura di questi.
  Il medio generico cura l'apparenza come se fosse l'essenza più profonda delle cose, l'immagine di sè, e soprattutto dei propri averi, è metro di giudizio per mostrarsi agli altri, e giudica gli altri in base agli stessi elementi; quindi è importantissimo ad esempio l'abito, l'acconciatura, il cellulare, il mezzo di trasporto (soprattutto l'automobile), la scelta ma soprattutto l'arredo della casa, con priorità leggermente diverse a seconda del sesso; anche aspetti quali i locali che si frequentano e la mèta delle vacanze è fortemente influenzata dall'opinione che suscita sul prossimo, su quanto testimoni l'abbienza dell'individuo. Si potrebbe continuare a lungo sulla dissertazione ma mi limito ai tratti fondamentali poiché sufficienti ad inquadrare i soggetti in questione.
 Il medioman si distingue principalmente per l'attenzione all'automobile, i possedimenti in genere, per la posizione lavorativa e per la quantità e la qualità delle conquiste in campo "amoroso" che può vantare; infatti le donne sedotte sono trofei da esibire e grazie alle quali vantarsi del proprio successo.
 La mediogirl invece conduce un'esistenza al servizio della propria estetica, passa il tempo e concentra i propri interessi alla cura dell'immagine esteriore propria e dei propri averi, al fine di accaparrarsi un "buon partito", da esibire a sua volta, in un connubio di reciproci interessi che li lega al medioman e a tutti i medi generici.
 In conclusione, affermo che la dedizione imperante a questi aspetti superficiali della vita è funzionale più all'asservimento ad un sistema che vuole la massa ai piedi del consumo che alla realizzazione dellì'individuo, e mi piacerebbe che ci si concentrasse un po' meno su queste sciocchezze per rivalutare l'essenza delle cose, per rendersi conto che la vita è una e che ci sono troppe cose veramente importanti che si notano se non ci si prostra al modello che viene inculcato dall'infanzia (quest'aspetto merita un'argomento dedicato) e che quindi i propri sforzi è meglio concentrarli su avere un mezzo di trasporto anzitutto funzionale, un'arredo prima di tutto pratico, per frequentazioni di locali e persone che ci rendano più capaci a conoscere e capire il mondo, per fare una vacanza che ci lasci l'animo arricchito, e insomma che ci si dedichi alla vera essenza dell'essenza più profonda ed ampia possibile della realtà in cui siamo che avrebbe moltissimo da offrire ad occhi che riescano a percepirla.

mercoledì 24 novembre 2010

Contro apparenza - Pro sostanza

C'è un perverso meccanismo responsabile di tanti mali che viene pesantemente sottovalutato: la forte valorizzazione dell'apparenza a discapito della sostanza delle cose. Questa realtà è presente su tutti i livelli: a partire dalla semplice cura della persona fino ad arrivare agli aspetti della cultura più astratta, passando dunque attraverso le questioni più disparate, ovvero su come costruiamo ed organizziamo le città in cui viviamo, nella gestione dell'ambiente in genere, nell'affidare la gestione ad un'organizzazione piuttosto che ad un'altra, etc; insomma oggi è più importante ciò che appare rispetto a ciò che è; un esempio particolarmente stridente di questo conflitto è negli ambienti cosìdetti radical-chic (che già in sè suona come un ossimoro): in questi ambienti si deve avere cura di apparire sostanziali (!!), si deve essere superficialmente profondi (!!!), ma di fatto profondamente superficiali; di fatto se poi si è sostanziali o meno poco importa, anzi, distrarre la cura di queste apparenze con l'attenzione alla sostanza risulta spesso fastidioso; ma questo è un caso limite, e non vorrei focalizzare l'attenzione su di uno solo dei tanti aspetti di questa assurda questione. Pretendere che ognuno afferri l'essenza profonda delle cose è (almeno ad oggi) utopico, ma eleverei l'attenzione generale ad un fatto: fingere di essere qualcosa che non si è dovrebbe risultare umiliante, mentre ad oggi cercare di apparire in una certa maniera è di fatto più importante che esserlo; è necessario sovvertire questo principio insano poiché è sfruttato dalle menti più fini per abbindolare le masse in ogni modo, con le conseguenze drammatiche che stanno sotto gli occhi di chi riesce a vedere oltre ai siparietti che ci mostrano... continua...

Coesione sociale: controvertiamo l'individualismo che avanza

In questi tempi l'individualismo domina ed aumenta la sua forza nella "coscienza" (si fa per dire) delle masse; il sistema ci spinge ad occuparci dei nostri interessi, anche se a discapito di quelli altrui: una guerra tra poveri nella quale ci rimettiamo tutti, tranne chi sta ai vertici della piramide, conscio che aumentare le distanze tra gli individui agevola l'assoggettamento dei piani inferiori ai propri interessi. E' molto importante invece risvegliare la consapevolezza tra la gente che l'interesse reciproco è una forza necessaria al progresso e che senza questa la regressione che viviamo, l'aumento del divario sociale, la perdita di diritti conquistati a fatica, etc, continueranno inesorabilmente. E' drammatico come stiamo retrocedendo in tal senso, la stragrande maggioranza delle persone trova un nemico in una fazione paritetica a seconda di discriminazioni di carattere superficiale: sembra che viviamo un campionato di calcio, dove chi tiene ad una squadra (aprioristicamente) odia le altre per futili motivi; infatti le divisioni si alimentano per la dislocazione geografica, oppure per la razza di origine, o ancora per la fede religiosa, etc, dimenticando di contestualizzare eventuali diatribe al campo che dovrebbero spettargli ed estendendole invece alle più alte questioni; ormai ci si affilia ad un partito politico come un tifoso tiene ad una squadra di calcio, ed operai che tengono a tal partito vanno contro a quelli di tal'altro, nonostante di fondo abbiano gli stessi interessi, e così via... Se l'operaio (ad esempio, ma è indifferente se parliamo di un impiegato, etc) si rendesse conto che quello che combatte è una persona nelle stesse sue condizioni al di là delle suddette questioni di scarsa rilevanza, già sarebbe un gran passo avanti. Un grandissimo passo avanti sarebbe (ma ne siamo veramente lontani) che l'operaio si preoccupasse dei problemi degli imprenditori, come gli imprenditori si preoccupassero dei problemi dei loro dipendenti, fino a considerare l'altro come una persona al di là del ruolo che ricopre e senza anteporre i propri interessi a quelli degli altri; può sembrare un discorso retorico, ma è tanto vero che è banale, eppure viene disatteso quotidianamente dalle direttive che provengono dalle varie istituzioni in teoria preposte alla tutela di questo principio trasversale. Infatti ad esempio Confindustria spinge per ottenere maggiori profitti a discapito dei dipendenti, e i sindacati spingono nel verso opposto senza porsi il problema della controparte; anche qui si gioca una partita di interessi contrapposti, mentre l'interesse dovrebbe essere invece comune. E' una tristissima illusione quella di credere che la somma di interessi contrapposti porta ad un equilibrio per il bene comune: la cooperazioni di diverse componenti volte alla tutela di quest'ultimo sarebbe molto più funzionale. La forza maggiore che contrasta questo principio viene dall'alto, perché i vertici, nel breve e medio termine sono quelli che traggono vantaggi personali da questo stato di cose, e il loro potere gli permette di influenzare i "piani inferiori" per convincerli che è anche loro interesse. Difatti sarebbe opportuno che si infonda nuovamente (come stava accadendo in Occidente negli anni '60) negli strati intermedi della società la consapevolezza dell'importanza della reciproca considerazione al fine di contagiare gli altri strati della società. Bisogna a tal fine smascherare e combattere le forze oscure alla maggioranza che si impegnano consapevolmente alla demolizione di questa consapevolezza. Non mi dilungo nel presente testo ad entrare nel merito della natura di queste poiché l'argomento merita un approfondimento dedicato. Si devono inoltre riscoprire quei valori fondamentali che reggono un sano sviluppo sociale perché quest'oblio non si ripresenti... continua...

venerdì 19 novembre 2010

Riforma carceraria: da scuola di crimine a recupero sociale

 Sono scosso da una recente esperienza che mi ha sollecitato la stesura del presente post: ho visto da molto vicino la condizione carceraria e ciò mi impone la pubblicazione del mio pensiero in merito nella speranza che venga in qualche modo ascoltato dalle istituzioni preposte alla sua gestione.
 E' opportuno partire da una cosiderazione sulla situazione attuale per evidenziarne i limiti al fine di proporne una soluzione; ad oggi colui il quale commette un reato finisce in una struttura degradante dove il recupero è apparentemente (e a mio avviso sostanzialmente) l'ultimo dei propositi; anzitutto il fatto di essere messi insieme a soli criminali ha la funzione di consolidare e far evolvere la coscienza criminale del soggetto che vi finisce, dato che i principali interlocutori sono di tale estrazione; inoltre le condizioni in cui vengono posti aumenta il disagio e di conseguenza alimenta la parte peggiore dell'individuo, costretto, anche quando non predisposto per natura, a tirare fuori il peggio di sè per sopravvivere in una selezione verso il basso; le guardie carcerarie, in virtù di una formazione evidentemente insensibile al recupero del detenuto, non aiutano certo il recupero auspicato da una coscienza di buon senso. Attualmente chi entra in carcere ha alte probabilità di aumentare la propria inclinazione criminale sia perché "formato" all'interno del carcere, sia perché una volta uscito il reinserimento nella vita sociale legale è compromesso dalla macchia indelebile del proprio passato. Va premesso che è importante il recupero tanto quanto la funzione punitiva alla quale assolve la pena; va sottolineato inoltre che la pena andrebbe commisurata al danno sociale inflitto dal crimine commesso: anche questo concetto mi pare talvolta trascurato dalle norme attuali. Rivedrei dunque sotto questa luce le misure coercitive con le quali esercitare deterrenza, recupero, ed introdurre anche un recupero sotto l'aspetto del danno sociale inflitto col crimine commesso. E' opportuno iniziare con una rivalutazione delle pene di modo da commisurarle, come anticipato, al danno sociale inflitto; ritengo poi che la formula ideale (o per lo meno che migliorerebbe di molto la forma attuale) consisterebbe nel sostituire l'attuale detenzione con l'obbligo di lavorare per ripagare ampiamente ai danni inflitti alla società col proprio crimine; ne gioverebbe la società e chi ha commesso il crimine, che sarebbe poi naturalmente reintrodotto nella legalità nel momento in cui finisse di pagare per il proprio reato.

giovedì 18 novembre 2010

Riformare il sistema elettorale: democrazia "ponderata"

Premetto che credo che il sistema attuale, in generale, al di là del sistema elettorale, vada riformato, anzi rivoluzionato; consapevole del fatto che i tempi non sono maturi per una rivoluzione, propongo almeno questa riforma per migliorare la situazione attuale.
 Ad oggi chiunque, sia esso analfabeta o un premio Nobel, ha diritto al voto, giustamente; è una conquista civile chiamata "suffragio universale"; infatti fino a non troppo tempo fa per esempio le donne non potevano votare; non credo comunque che questo sia il migliore strumento democratico possibile: nel momento in cui ci illudessimo di aver raggiunto una qualche forma di perfezione su temi così complessi, penso che questo corrisponderebbe semplicemente ad un arresto del progresso sul tema in questione. Propongo dunque una miglioria del suffragio universale come oggi concepito con la consapevolezza di non raggiungere certo la perfezione, ma di fare un passo avanti sperando che sia spunto per farne tanti altri: insomma per progredire rispetto alla stasi che domina da troppo tempo.
 Premetto che il fine ultimo della politica dovrebbe essere (sembra che talvolta ci sia una certa distrazione in merito) il bene del popolo, e ardisco a dire, nei limiti da prendere oggi in considerazione, del mondo intero, compreso dunque l'ambiente, che peraltro è in stretta relazione, nel lungo termine, col bene del popolo stesso.
 Intendo con democrazia "ponderata" il concetto di conferire a ciascun votante un "peso", inizialmente uguale per tutti, e variabile via via nel percorso di vita di ognuno. A titolo di esempio, supponiamo che ad un soggetto venga assegnato un premio Nobel per la pace, reputo dunque che sarebbe opportuno che il peso del voto di questo soggetto subisca un incremento; supponiamo invece che un tale si macchi di orrendi crimini, credo sia giusto che il suo voto subisca invece un decremento. Propongo inoltre dei periodici test facoltativi atti a valutare le sensibilità e capacità dell'individuo nei confronti delle tematiche sensibili al progresso del benessere sociale come inteso in precedenza; questi sono molto delicati e devono limitarsi di modo da non introdurre in alcun modo degli elementi viziati da qualsivoglia orientamento particolare. Come premesso il fine ultimo è la tutela del benessere sociale, e quindi è vantaggioso per tutti che chi dimostri una maggiore sensibilità e/o capacità nella tutela di questo abbia maggior voce nelle decisioni che la riguardano. Il concetto di base è piuttosto semplice e si esaurisce nelle poche righe sopra esposte, in quanto segue entrerò invece nei dettagli di come articolare in pratica il discorso, senza la pretesa che l'implementazione che propongo sia la migliore possibile, anzi, con la sicurezza che sia ampiamente migliorabile, e qui spero nel contributo di eventuali commenti che aiutino in tal senso.
 Poniamo dunque che ciascuno parta, alla nascita, con il "peso" 1; già nell'arco del suo percorso di studi, in base alla quantità ed alla qualità dei risultati ottenuti il suo peso subirà delle variazioni; in relazione alla quantità, nel senso che se uno raggiungesse ad esempio una laurea accumulerà più "peso" di uno che raggiunga solo le medie superiori, a parità di risultati; in quanto alla qualità, chi ottenesse voti più alti raggiungerebbe più "peso" di un altro con voti inferiori, a parità di percorso scolastico; inoltre, differenti piani di studi sarebbe corretto che avessero differenti coefficienti in funzione della loro vocazione nella formazione di una coscienza sociale, ovvero mi aspetterei che un percorso prettamente tecnico o professionale abbia un coefficiente inferiore ad uno umanistico; la promozione comporterà un incremento e la bocciatura un decremento; particolari meriti o demeriti comporterebbero anch'essi variazioni, l'importante è che si tenga sempre conto del valore volto alla formazione di una coscienza sociale, ovvero, per esempio, i meriti sportivi non vedo come potrebbero contribuire in tal senso. Non mi addentrerò oltre nell'esposizione dell'implementazione che proporrei poiché vorrei focalizzare l'attenzione sul concetto di base.